Comunicazione (è) Politica

Sondaggio e politica: sostiene Gigliuto (Istituto Piepoli)

15/12/2019

Sondaggio e politica: sostiene Gigliuto (Istituto Piepoli)

Sondaggio e politica è un binomio sempre più stretto.

Pochi giorni fa abbiamo analizzato un doppio aspetto della comunicazione di Matteo Salvini. Abbiamo parlato dell’importanza che per lui riveste l’istituto del sondaggio e di come ci cuce addosso una strategia comunicativa (qui).

Volevamo un’opinione autorevole proprio sul rapporto tra sondaggio e politica.

Ci siamo affidati alla voce di Livio Gigliuto, vicepresidente di Istituto Piepoli e direttore dell’Osservatorio sulla Comunicazione digitale, nato dalla collaborazione di PA Social e, appunto, Istituto Piepoli (qui).

1. Livio, qual è la ragione per cui il sondaggio è spasmodicamente atteso da tutti, fino a diventare elemento centrale addirittura nelle strategie comunicative delle campagne elettorali?

“Le ricerche, politiche, sociali, o di marketing, servono a interpretare la società, sono fotografie probabili che rappresentano lo stato di un fenomeno in quell’istante. Sono preziose per “studiare il campo”, impostare la campagna elettorale, capire se c’è da rincorrere o da conservare, magari anche per migliorare la comunicazione.

Ma un sondaggio non sostituisce una stretta di mano, un’ora di dialogo con i cittadini.

Livio Gigliuto nel corso della presentazione del volume “L’Italia che comunica in digitale – edizione 2019” (Bonanno editore), dell’Osservatorio nazionale sulla comunicazione digitale (PA Social – Istituto Piepoli)

Il modo migliore di usare i sondaggi era quello di Charles De Gaulle, che studiava il sentimento popolare e poi decideva, pensando esclusivamente al bene del Paese. La crescita dell’attesa del sondaggio, che correttamente evidenziavi, aumenta con il crescere della fluidità delle nostre opinioni e delle nostre abitudini di consumo, che negli ultimi anni è particolarmente enfatizzata”.

2. Ormai da anni la dinamica tra sondaggi e politica si è capovolta. Si stabiliscono priorità e posizioni solo dopo aver sondato l’opinione pubblica. Per gli Istituti va più che bene, ma forse è un meccanismo un po’ perverso, non trovi?

“Ma i politici italiani sono un frattale della popolazione, quindi di tutti noi! Nella gran parte dei casi ho avuto a che fare con personalità che attraverso le ricerche avevano l’obiettivo di consultare l’opinione e testare alcune loro idee.

In alcuni casi valutando la modalità migliore per poi comunicarle, esattamente come fanno le aziende che ci chiedono di testare i prodotti e la comunicazione.

In questo senso, le ricerche politiche e quelle più chiaramente di marketing sono molto più simili di quanto si pensi.

Insomma, ho incontrato politici che volevano fare un uso sano delle indagini. E questo è un bene anche per gli istituti di ricerca”.

3. Questa bulimia da sondaggio non rischia di nascondere, in realtà, un ulteriore momento di scollamento tra opinione pubblica e classe politica, ormai incapace di sentire il polso del popolo?

“Questa tendenza a testare di frequente l’opinione, che in effetti c’è, è conseguenza di una serie di fattori.

Da un lato il susseguirsi di tornate elettorali locali con possibili ripercussioni nazionali, che genera forti attese sui risultati. Dall’altro il bisogno di orientarsi in un contesto in cui le “quote” cambiano in maniera molto rapida, con partiti che raddoppiano i propri consensi in 12 mesi.

Fino a 10 anni fa, un calo di 3-4 punti tra una tornata elettorale e l’altra era raro e rilevante. Ora un partito guadagna 5 punti e quasi non ce ne accorgiamo. Come nelle ricerche di marketing, quando la “fedeltà” del consumatore (o in questo caso dell’elettore) diminuisce, cresce il bisogno di monitorarne le opinioni“.

Gigliuto insieme con Francesco Di Costanzo, presidente di PA Social

4. Perché oggi tutti i politici, nonostante dicano il contrario, guardano prima i sondaggi e poi i giornali?

Non so se sia così. Penso che la politica dovrebbe tornare, e forse sta tornando, a dare attenzione a sociologi, filosofi, ricercatori, per interpretare un mondo che cambia in maniera rapida e spesso imprevista. Anche noi, ad esempio, oltre a statistici e sociologi, ci avvaliamo di filosofi, psicologi e antropologi per leggere la realtà”.

5. C’è qualcosa che i sondaggi non fanno, qualcosa che non prevedono, qualcosa su cui possono incappare in un errore?

“Nel mondo della ricerca esistono molti strumenti utili a prevedere e costruire futuribili probabili, ad esempio gruppi di creative problem solving, tecniche delphi.

I sondaggi fanno il loro lavoro: colgono le tendenze dei fenomeni che misurano, e ne “pesano” la consistenza e la dimensione.

Da questo punto di vista, la politica correttamente se ne avvale per leggere la società. Per certi versi, fare sondaggi è un apprezzabile segno di attenzione verso i cittadini. Forse, dovrebbe fare più ricorso a tecniche creative e gruppi.

Attraverso un sondaggio si misura se un sentimento cresce o decresce nel Paese, se è prevalente rispetto al suo opposto, quali priorità ha la popolazione e come vorrebbe che i governanti affrontassero le vicende che li coinvolgono“.


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