Social e politica, la svolta di Twitter: stop alla pubblicità
Social e politica è un tema su cui abbiamo scritto ampiamente.
Dal lavoro della Bestia di Salvini (qui) agli investimenti di Renzi (qui). È evidente che il binomio rappresenti una grandissima opportunità per chi voglia veicolare le proprie idee. A pagamento, certo, ma con ritorno (quasi) sicuro.
Arriva da Twitter, però, una decisione che pare destinata a imprimere una svolta vera al settore e al rapporto tra social e politica.
Jack Dorsey, fondatore e ad della piattaforma, ha annunciato lo stop alle pubblicità con contenuti politici.
“Crediamo che la portata del messaggio politico debba essere guadagnata, non acquistata”, scrive Dorsey in una lunga serie di cinguettii che l’ottimo Pier Luca Santoro ci ha opportunamente e validamente tradotto.
“Un messaggio politico – prosegue l’ad di Twitter – guadagna quando le persone decidono di seguire un account o ritwittarlo. Pagare per raggiungere rimuove quella decisione, forzando messaggi politici altamente ottimizzati e mirati sulle persone: riteniamo che questa decisione non debba essere compromessa dal denaro”.
In pratica, sotto la lente d’ingrandimento ci sono le conseguenze che i voti, influenzati da quella pubblicità, possono avere sulla vita di milioni di persone. Niente rischi di interferenze nel dibattito politico. Per cui, dal prossimo 22 novembre, la visibilità bisogna guadagnarsela, non più acquistarla.
I problemi richiamati da Dorsey sono soprattutto quello della fake news (leggi qui un’analisi sul problema), della messaggistica micro-targeting, delle informazioni fuorvianti. “Abbiamo assistito a molti movimenti sociali che hanno raggiunto dimensioni enormi senza pubblicità politica”.
In un passaggio, Dorsey sembra fare implicito riferimento a Facebook, che gestisce una fetta pubblicitaria molto più ampia e che ora potrà ingrandirla ancora.
Anche perché la politica adottata da Zuckerberg è esattamente opposta a quella di Twitter: mantenere annunci politici online, a prescindere dal loro contenuto.
Una linea che non è piaciuta al Congresso Usa, dove lo stesso Zuckerberg ha difeso la decisione senza però essere convincente nello spiegarne le ragioni.
Da parte di Twitter, quindi, la rinuncia a una parte cospicua di introiti, per evitare di andare incontro a un appannamento dell’immagine, oltre che a una probabile e salatissima sanzione.
Una decisione che modificherà certamente i rapporti tra social e politica. I social hanno rappresentato finora una larghissima parte della comunicazione politica. Da oggi le cose cambiano un po’.
In senso negativo per Twitter, dove dobbiamo prepararci a un minore flusso informativo-comunicativo. In senso opposto per Facebook e Instagram, su cui verosimilmente si riverserà ciò a cui Twitter pare aver rinunciato.
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