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Social e disinformazione, la manipolazione è servita

08/10/2019

Social e disinformazione, la manipolazione è servita

Social e disinformazione è un tema caldissimo.

Al tempo della disintermediazione del rapporto tra cittadini e politici (ma non soltanto politici), l’argomento della veridicità di ciò che si legge sui social diventa capitale. Quando si impone la perversione del concetto di libertà d’espressione, avviene che le opinioni veicolate diventano del tutto fuorvianti.

La formazione di un’opinione pubblica consapevole, infatti, è un processo di cui si avverte sempre più la necessità. Ma non sempre avviene, anzi quasi mai.

A proposito di social e disinformazione, vale la pena riportare i dati dell’ultimo studio dell’Oxford Internet Institute.

Lo studio, dal titolo “The Global Disinformation Order: 2019 Global Inventory of Organised Social Media Manipulation”, è il risultato di un monitoraggio durato tre anni. Rivela le varie azioni effettuate proprio per inquinare quel processo cui abbiamo fatto cenno.

Non si tratterebbe soltanto di azioni interne, bensì transnazionali, che coinvolgerebbero strutture governative o paragovernative di diversi Paesi. Queste, in tal modo, si intromettono nel dibattito politico di altri Paesi, con lo scopo di indirizzare l’opinione pubblica.

La sede dell’Oxford Internet Institute

Secondo il rapporto dell’OII, i Paesi che attuano con frequenza incessante atti di questo tipo sono Cina e Russia, seguite da India, Pakistan, Russia, Arabia Saudita e Venezuela. In tutto, sono 70 nel mondo.

Il lavoro tra social e disinformazione vede un netto incremento, naturalmente, in occasione di elezioni o di eventi epocali, come la Brexit. In questi casi, vengono attuate strategie che portano soprattutto a un aumento di finti followers, che nell’opinione pubblica tende a fortificare l’immagine del soggetto o dell’idea veicolata.

Mentre nel mondo anglosassone questa prassi è diffusissima in ogni ambito, lo studio afferma che in Italia è limitato alla sfera politico-partitica. Soprattutto attraverso l’utilizzo di bot (quindi non profili umani), che moltiplicano automaticamente interazioni e condivisioni di alcuni temi utilizzati per spostare il focus dell’opinione pubblica.

Come in ogni settore, anche in questo è presente l’elemento innovazione. Si pensi ai deepfake (leggi qui), che insieme ad altre diavolerie tecnologiche potrebbero avere una certa centralità nella prossima campagna elettorale Usa.

In questo senso, il contrasto al binomio letale “social e disinformazione” si potrebbe attuare con le stesse piattaforme. Facendo in modo che operino alcuni accorgimenti, magari attraverso azioni univoche.


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