Comizio, il tratto di unione tra comunicazione e politica
Comizio, questo (ex) sconosciuto.
Per alcuni neanche tanto “ex”, considerati i numeri che, a risultati ufficiali, emergono dall’Umbria. Insomma, l’incontro pubblico sembra stia tornando al centro della strategia politico-comunicativa dei partiti e dei singoli leader.
A testimonianza dell’importanza di questa chiamata alle urne, Matteo Salvini ha battuto palmo a palmo la “regione grande quanto la provincia di Lecce”.
Dicono che la sua strategia puntasse a un comizio per ognuno dei 92 comuni umbri.
Ha dovuto accontentarsi di oltre la metà. Il capo della Lega ha infatti tenuto qualcosa come 53 comizi. La sua pagina Facebook è un profluvio di dirette, tanto dai centri più grandi e conosciuti quanto da quelli più piccoli e meno celebri.

Ovviamente, non c’è consequenzialità diretta – almeno, non è dimostrata – tra il numero di comizi tenuti e il numero di voti raggranellati. Ma è altrettanto ovvio che il contatto non mediato tra un politico e la gente possa in qualche modo determinare uno spostamento in termini di consenso.
Se Salvini batte l’Umbria come un segugio in cerca di tartufo, vuol dire che può farlo: attraverso la rete è riuscito a costruirsi una platea di seguaci (leggi qui per un’analisi sul lavoro della “Bestia”). Il contatto umano non è che la seconda parte di una strategia comunicativa ben definita.
Il colpo, ben assestato, alle convinzioni dei propri sostenitori e alle velleità dei propri avversari. Gli avversari, appunto. Vogliamo parlare degli avversari? Zingaretti: 11 incontri pubblici. Di Maio: 8 incontri pubblici (e sipario volutamente calato sul venerdì pre-elezioni del presidente Conte).

Il comizio, quindi, come nuovo tratto d’unione tra la strategia politica e la strategia di comunicazione. Perché comizio vuol dire anche stringere mani, girare mercatini, scattare foto. Come quella con la felpa con la scritta “Bastardo” (dal nome del comune). Una genialata, che porta reazioni ovvie degli odiatori e la possibilità, per lui, di contrattaccare proprio sul tema dell’odio.
Come abbiamo scritto un paio di settimane fa (qui), nel duello da Bruno Vespa a uscire vincitore è stato probabilmente Renzi. Salvini ha bisogno della gente, ne avverte la necessità. Deve parlare con l’operaio, si esalta quando si rivolge all’infermiera. Nell’ovatta di uno studio televisivo – a maggior ragione nella Terza Camera – ritrae gli artigli e diventa quasi innocuo.
È scarsamente televisivo e clamorosamente comiziante. Gli incontri in pubblico, i monologhi di quaranta minuti non lo stancano. Lo infervorano.
Certo, non gli danno la garanzia di migliorare il risultato. Ma chi, in una campagna elettorale, non si fa vedere o lo fa perché “c’era da dare una mano”, ha già perso.
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