Un nemico è il più grande amico della propaganda: il caso Trump
Un nemico è il più grande amico della propaganda. E il caso Trump ce lo sta confermando.
E d’altronde, ieri lo ha svelato lui stesso. “Ogni volta che presentano un’incriminazione, noi saliamo nei sondaggi“, ha affermato nel corso di un comizio in Alabama, il primo dopo il terzo capo d’accusa.
Non è più un mistero, dunque, che personaggi politici così altamente polarizzanti decidano di continuare a esserlo. E lo fanno attraverso una delle più elementari (ed efficaci) strategie comunicative. Carl Schmitt ha introdotto il concetto della dicotomia amico/nemico applicata alla politica e alla sua comunicazione. Elevare a nemico qualcuno che ti sta attaccando è una scelta molto precisa, che implica una certa postura e presuppone certe reazioni.
La postura da tenere è quella del contrattacco immediato e deciso. E infatti, The Donald non ha centellinato le parole contro Biden, definendolo “un incompetente al quale non dovrebbe essere consentito di essere presidente”.
Il che porta due elementi consequenziali.
Da un lato, rende subito possibile poter spostare il fuoco su un altro tema: l’attuale Presidente è degno di essere tale? Considerata l’attuale popolarità di Joe Biden, la risposta dell’opinione pubblica sarebbe un sonante no.
Dall’altro, come ha osservato lo stesso Trump, provoca nella stessa opinione pubblica un effetto contrario. Si potrebbe definire quasi un effetto-arroccamento, di difesa nei confronti di un personaggio che viene percepito come un perseguitato.
Tanto che sia Trump che i democratici starebbero spingendo per trasmettere il processo in tv. Ovviamente, l’uno o gli altri stanno prendendo un abbaglio storico.
É la stessa dinamica che per anni in Italia abbiamo visto con Silvio Berlusconi. Massiccia campagna di comunicazione contro un nemico che lo voleva abbattere e conseguenti ottimi risultati elettorali. Il valore reale in termini di peso nelle urne, cioè, risultava spesso molto più elevato del valore percepito.
Non è un caso che sin dal suo primo discorso pubblico, il Cavaliere abbia messo al centro il pericolo comunista. Era quello il nemico da cui guardarsi, da evitare per il bene dell’Italia. I magistrati sono stati il secondo obiettivo, forse più completo perché gli hanno consentito anche di far leva sul concetto di persecuzione.
Le presidenziali Usa si terranno tra quindici mesi, e non sappiamo ancora cosa accadrà a Trump. Potrà candidarsi? Se sì, sarà lui il candidato repubblicano? Tuttavia, si può dire che oltreoceano i toni siano e rimarranno quelli di una permanent campaign, per dirla con Sidney Blumenthal¹. Perchè, appunto, un nemico è il miglior amico della propaganda.
¹ Blumenthal S. (1980), “
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