Post 25 settembre: giudizi semiseri sulle campagne elettorali
Gli italiani si sono espressi, le urne hanno restituito un risultato ben chiaro.
Ma com’è andata questa campagna elettorale? Come si sono comportati i nostri eroi, cioè i leader di partito? Tra il serio e il faceto, vediamoli uno per uno.
LUIGI DI MAIO – Va gigioneggiando passando dal Consiglio europeo dei Ministri degli Esteri alla Dirty Dancing nei Quartieri Spagnoli. Una campagna elettorale – a quanto sembra – senza una strategia vera, a partire dalla mossa suicida (politicamente e comunicativamente) di lasciare il M5S. Candidato a Fuorigrotta, si scopre d’improvviso accesissimo tifoso del Napoli, prestando così ottimamente il fianco agli sfottò sul suo (rispettabilissimo) passato da steward. L’impressione netta era che camminasse tentoni, al punto da dichiarare “saremo la sorpresa di queste elezioni”. Il punto più alto (fisicamente e come risalto mediatico) l’ha vissuto da Nennella. E con tutto il rispetto e la devozione che si deve alla pasta, patate e provola, è tutto dire. Voto: 3
CARLO CALENDA – Passa il tempo a provare a farsi notare con proposte al limite dell’impossibile, tipo “fermiamo la campagna elettorale per un giorno”. A meno di una settimana dal voto, nonostante i sondaggi in mano, dice che “sotto il 10% è un fallimento”. Dunque, fallisce. Gli occhialoni tipo parabrezza della Multipla non gli donano, e di certo non gli fa gioco recitare lo stesso copione per un mese intero: candidarsi alla guida del Paese e dire, contemporaneamente, che la prima mossa sarebbe richiamare Draghi. Anticomunicazione del proprio brand. Ciak, motore, inAzione! Voto: 5

MATTEO SALVINI – Inciampa diverse volte. Se la Lega, grazie a lui, è diventata movimento nazionale, riunirsi a Pontida (simbolo della Padania libera) a dieci giorni dal voto non sembra proprio il massimo. Ma questo forse è l’inciampo meno grave. Quello più influente è probabilmente strutturale: una volta che l’immigrazione è scesa nell’agenda delle priorità politiche e dell’opinione pubblica, non riesce a “switchare” su altri temi. Ecco, l’efficacia comunicativa non è la stessa (in tre anni, Lega -25%), e lo dimostra con la tendenza (non si sa quanto voluta) a fare la corsa sulla Meloni: un po’ imitandola (lei fa salire sul palco un contestatore, lui fa lo stesso), un po’ distinguendosi (se lei dice che lo scostamento è “l’extrema ratio”, lui dice che va fatto assolutamente). Geniale la scelta del claim “Credo” (uno dei verbi più utilizzati in politica), che gli vale un punto in più. Voto 5.

GIORGIA MELONI – Una strategia da “pagina 2 del manuale delle campagne elettorali”, avrebbe detto un José Altafini prestato alla comunicazione politica. Attesa, niente fughe in avanti né azzardi di nessun tipo. Il vantaggio va gestito. Piuttosto che fare come Zeman, che vince 4 a 0 e vuole farne altri tre (e rischia di pareggiarla), sceglie di fare come Mourinho: tutti raccolti dietro e pronti a ripartire. In mezzo, però, tanta cura per l’aspetto motivazionale e una campagna da doppio binario: un po’ mi rivolgo all’Europa, cercando di tranquillizzarla, un po’ mi rivolgo ai miei, cercando di tenerli tutti sulla corda. “Pronti” è una risposta alla domanda di Draghi in Senato ma è anche uno sprone. Il risultato premia una strategia (politica e comunicativa) lunga anni e anni, ma la campagna elettorale è senza slanci particolari e condotta col minimo sindacale. Voto: 6.
GIUSEPPE CONTE – Ladies and gentlemen, the outsider. Se il Pd lascia sguarnito il lato sinistro, lui ne approfitta per completare la sua metamorfosi da firmatario dei decreti sicurezza a progressista e paladino dei ceti deboli. Poteva essere un azzardo, invece i risultati lo premiano eccome. Al di là di passi falsi come l’invito a Renzi a “venire a Palermo senza scorta”, la sua campagna sembra ben costruita: presidiare di più i territori dove c’è maggiore incidenza del Rdc e fare molta presenza tv e social (dove comunque, va detto, beneficia e beneficerà delle discutibili modalità utilizzate durante la pandemia, ma questo è un libro a parte). Nel piccolo schermo risulta comunicativamente piuttosto efficace, con punte di sarcasmo ma quasi mai di polemica aspra. In giro tra la gente, invece, si fa notare anche per un look rinnovato: niente cravatte né pochette, ma polo e camicie. Voto: 8

SILVIO BERLUSCONI – Da grande precursore quale è, sdogana la campagna elettorale in smart working, con pillole giornaliere registrate e caricate sulle piattaforme. Si tuffa su TikTok(Tak) con più entusiasmo di me, che ho un account ma che non ho mai fatto un video. Encomiabile, ma dal punto di vista comunicativo lascia il tempo che trova: numeri esorbitanti, certo, ma più per curiosità che per reale interesse. Un “garante della postura europea e atlantica del futuro esecutivo” non può cadere in equivoci tattici nucleari come quello dovuto alle parole su Putin. Il Silvio di una volta avrebbe davvero toccato il 20%, come aveva promesso all’inizio. E ci avrebbe fatto divertire. Voto: 5,5
ENRICO LETTA – Incommentabile. Di certo paga la situazione di un partito eternamente diviso in mille correnti e sottocorrenti che scambia la campagna elettorale per l’anticamera del Congresso (e infatti è andato immediatamente in overbooking da candidati). Ma sbaglia tutto quello che c’è da sbagliare e forse anche di più. Depenna il M5S perché macchiatosi di parricidio. Sceglie Calenda e poi, pur sapendo che Calenda non lo vuole, sceglie pure Fratoianni e Bonelli. Restituisce l’immagine di indecisionista cronico, di antileader patentato. La Meloni pubblica un video in tre lingue, lui risponde con un video in tre lingue. Sceglie il bus elettrico che lo lascia più volte a piedi. Polarizza il dibattito con il claim “Scegli”, che di certo non farà la storia. Per un periodo utilizza addirittura l’hashtag #dallapartegiusta, che è il claim del M5S. Pubblica card dalla grafica veramente imbarazzante. Propone una non meglio specificata “dote ai diciottenni” attraverso una tassa sui patrimoni. Inventatevi qualcosa, scoprirete che lui l’ha già sbagliata. Voto: 1
Citazione d’obbligo per CLEMENTE MASTELLA, non foss’altro che il disperato colpo di genio di comunicare in diretta il suo numero di telefono. La nuova frontiera della disintermediazione. Voto: 3355930411.

Berlusconi e il digitale, tra distanza e sorpresa - Velocità Media
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