Mattia Santori, la (tentata) personalizzazione di un movimento
Mattia Santori prova la strada della leaderizzazione.
Sugli account social delle Sardine, due sere fa è comparso un post dal titolo “Chi è Mattia Santori, portavoce nazionale delle Sardine?”. E già questo potrebbe bastare per comprenderne l’intento.
Lo sviluppo, però, se possibile è ancora peggiore. Non quanto a contenuto politico, naturalmente. Piuttosto, rispetto alla coerenza comunicativa del messaggio che le Sardine hanno lanciato sin dalla loro nascita. Coinvolgimento e pluralità: queste due delle loro parole d’ordine, contrapposte alla personalizzazione della politica, elemento che da sempre contestano.
Eppure, con un post che sembra più un CV non hanno fatto altro che questo. Personalizzare il messaggio politico. O meglio, hanno proseguito nell’opera di personalizzazione. D’altra parte, chi, se non Santori, ha vissuto la ribalta mediatica in tutti questi mesi?
È evidente, dunque, che anche le Sardine stiano cedendo alla tendenza ormai imperante di focalizzare l’attenzione sul proprio personaggio principale. Un esercizio di marketing politico che oggi trova parecchi esempi nel panorama nostrano. Da Conte a De Luca, da Salvini alla Meloni fino a Renzi, sono tanti i politici che definisco “leadersivi”¹, cioè presentati come prodotti da vendere.
Mattia Santori non fa più eccezione.
Personalizzare un messaggio politico vuol dire due cose. Da un lato, dare visibilità non più al messaggio stesso, bensì all’uomo. Dall’altro, creare parallelamente un processo di leaderizzazione, come lo definisce Mazzoleni². Ammantare quella persona, cioè, dell’aura di leader. Presentarlo come tale.
Una prassi, quella della leaderizzazione, presente da sempre negli Stati Uniti. In Europa, invece, si riscontra da poco prima della crisi del modello delle ideologie e dei partiti e si sviluppa enormemente dopo.
A favorirne la crescita sono la commercializzazione del sistema televisivo e le modifiche intervenute nei meccanismi istituzionali. In particolare, l’avvento del maggioritario e la preferenza unica.
Il politico, insomma, diventa quasi l’unica espressione possibile del suo stesso partito.
“Ciò che il candidato dice assume più rilevanza del programma del suo partito. L’immagine, in special modo fisica, del candidato, diventa più importante di qualsiasi altra qualità o caratteristica del candidato stesso”³, scrive Pasquino.
Negli ultimi anni, poi, questo processo ha trovato ampio spazio nei simboli di partito, che ospitano quasi in pianta stabile i nomi dei leader. Alle Sardine manca solo quest’ultimo passo.
¹ Qui la mia analisi su Conte e il “leadersivo”.
² Per maggiori info su Mazzoleni G. (2012), «La comunicazione politica», Il Mulino (terza edizione), clicca qui.
³ Pasquino G. (1990), «Personae non gratae?», in «Polis», p. 207.