Mario Draghi, il “grigio tecnocrate” che sa comunicare
Mario Draghi come la vera figura chiave del prossimo futuro.
Un ruolo che gli è riconosciuto un po’ da tutti, considerando la sua competenza, il suo talento, la sua esperienza. Non più “grigio tecnocrate al servizio dell’Europa affamatrice”, ma risorsa indispensabile da utilizzare per metterci alle spalle un periodo buio.
A queste virtù, l’ex presidente della Banca Centrale Europea aggiunge una che francamente non avevamo pronosticato: l’abilità comunicativa. Draghi è molto più espressivo, incisivo e incidente di quanto possa sembrare. Non è un caso che alcune sue formule linguistiche siano passate letteralmente alla storia.
Nel 2012, in piena tempesta post-crisi da debito sovrano, il suo “whatever it takes” è immediatamente diventato una pietra miliare del lessico economico-finanziario. Ricopriva il ruolo di numero uno della Bce, e quelle parole ebbero subito un peso enorme.
Ieri, parlando a Rimini al meeting di Comunione e Liberazione, Mario Draghi ha operato una distinzione tra “debito buono” e “debito cattivo”.
Probabilmente ha voluto ricordare qualcosa all’opposizione, che in questi mesi ha avanzato proposte come l’anno fiscale bianco. Anche questa, però, è stata una operazione comunicativa molto felice. Numerosissimi i commentatori e gli analisti che già l’hanno fatta propria e diffusa.
Sempre riguardo alla sua capacità comunicativa, va aggiunta la bravura con cui ha espresso critiche nei confronti del governo. Sempre senza trascendere, sempre senza dare l’impressione di voler lanciarsi nell’agone politico. Ma ha parlato dei sussidi “che prima o poi finiranno”. Dei giovani “a cui bisogna dare gli strumenti per sostenere il debito che stiamo creando”. Della speranza “che non va loro tolta”.
Non è forse un appunto alle misure dell’esecutivo, come riferiscono alcuni editorialisti?
Un appunto silenzioso, ma pur sempre tale. Il suo saper stare in equilibrio sul filo degli schieramenti lo porta a essere una pedina eccellente per un governo di unità nazionale. O forse, più prosaicamente, Draghi sta aspettando il 2022, quando Mattarella lascerà il Colle.