FdI e M5S, ovvero quanto conta avere un leader
FdI e M5S, due partiti situati all’opposto praticamente su tutto.
Non soltanto dal punto di vista politico (“Mai al governo con Pd, M5S e Renzi”, va ripetendo la Meloni), ma anche organizzativo.
La struttura dei pentastellati riflette la stella polare dell’“uno vale uno”: si decide a maggioranza e un leader vero non c’è. Anche l’attuale capo politico, Vito Crimi (che in realtà è un reggente e verrà a breve sostituito da un direttorio), è tutto tranne che un leader.
Se nella fase iniziale del MoVimento, il leader riconosciuto era Gian Roberto Casaleggio, con Grillo a recitare la parte dell’istrione motivatore, oggi non è più così. L’evento tragico della morte di Casaleggio ha scombussolato la situazione, distribuendo potere di leadership ai personaggi più in vista.
Non è un caso che da allora si parli delle due anime, facenti capo l’una a Di Maio e l’altra a Di Battista (fuoriuscito ma sempre influente). E nulla ha potuto neppure il caldeggiato intervento di Giuseppe Conte, neo-docente da 6 milioni di followers.
D’altra parte, la distribuzione della leadership è un po’ la peculiarità del M5S. Il ruolo di Grillo resta sullo sfondo. Una sorta di garante, di collante da utilizzare nei momenti di maggiore difficoltà.
Le consultazioni con il presidente Draghi lo hanno visto in prima linea. Ma non è stato sufficiente a garantire la compattezza del voto in Senato, che ha portato all’espulsione di 15 senatori. Tra questi, il presidente della Commissione Antimafia, Nicola Morra, e l’ex ministro Barbara Lezzi.
FdI e M5S, dicevamo. Perché nell’unico partito all’opposizione la situazione è opposta.
Come ho cercato di analizzare nel mio libro “Virus, comunicazione e politica” (a questo link), l’approccio del partito della Meloni è tutto o quasi incentrato sul proprio leader. Nonostante anche qui ad assumere le decisioni sia la maggioranza (come nel caso della fiducia a Draghi), siamo da tempo di fronte a una evidente personalizzazione. Questa conduce alla creazione e, nel caso attuale, al rafforzamento della leadership di Giorgia Meloni.
Che però si gioca tutto. I seguaci del leader lo riconoscono come tale, ma cercano conferme. Se la strategia del presidente di FdI si rivelerà vincente, allora avrà maturato un ulteriore credito al proprio interno (e forse anche fuori).
Quanto detto fin qui si riflette anche – e naturalmente – nella sfera comunicativa. In una dimensione di leadership multipla, chi comunica? É proprio questo che genera smottamenti (si pensi soltanto a Di Battista).
In un partito in cui, invece, la leadership è riconosciuta, si riesce a rimanere tutti compatti intorno al leader, senza voci dissonanti (almeno pubbliche). É così da tanto.
“Abbiamo un’ottima squadra di deputati e senatori, dovrete abituarvi a chiamare anche loro”, ripete la Meloni nelle sue ospitate in tv. Probabilmente, però, non pensando mai seriamente di interrompere un flusso comunicativo che sta dando risultati eccellenti.
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