L’incoerenza, un vizio che diventa virtù morale
L’incoerenza come virtù, la neo-politica va all’attacco.
Ho detto e scritto più e più volte (anche nel mio ultimo libro) di quanto la coerenza di Giorgia Meloni e del suo partito sia stata decisiva nella scalata verso un consenso vasto e – pare – piuttosto duraturo.
Tuttavia, una volta al governo, anche lei ha talvolta dovuto derogare a questo valore. Il caso più emblematico, va senza dire, esplode proprio nella giornata di oggi. In una doppia intervista – a La Repubblica e a Il Messaggero -, il titolare del Mise, Adolfo Urso, ha dovuto smentire un cavallo di battaglia della campagna elettorale di FdI. “Le accise non si toccano, servono a tagliare il cuneo fiscale”, ha affermato.
Una posizione che si può iscrivere all’infinita lista di dietrofront che, negli anni, i partiti ci hanno mostrato. Possiamo menzionare la mutazione genetica del M5S (molto più che un mero atto di incoerenza, quasi un rinnegare sé stessi). Ma possiamo citare Renzi che nel 2016 promette di “lasciare la politica” in caso di sconfitta al referendum, o il Pd che si batte contro il Reddito di cittadinanza salvo poi sostenerlo, o contro la legge sulla legittima difesa salvo poi non aprire neanche il dibattito sulla sua modifica, o a favore delle elezioni nel 2019 salvo poi accettare di formare un governo.
Insomma, si tratta di singole concessioni che restituiscono quasi prestigio al cambio d’idea. L’incoerenza, cioè, quasi come virtù, come valore morale.
E d’altra parte, non si tratta certo di una novità. Tuttavia, la liquidità della politica non può che condurre all’occupazione di spazi di idee che per loro natura sono cangianti a seconda del momento. L’elettorato, oltretutto, sembra in larga parte non esserne toccato. Mazzoleni la definisce “secolarizzazione della politica”, cioè la graduale perdita del peso specifico nella dinamica politica delle ideologie e delle appartenenze sub-culturali.
Ciò porta una fetta dell’elettorato – specie i più giovani – a “defidelizzarsi e a disaffezionarsi”, per dirla con Federico Capeci (qui). “Vuol dire comprendere che nulla è per sempre, mai più tessere di fedeltà ai partiti, ma rapporti aperti, anche tra destra e sinistra”, scrive Capeci.
Il che significa che se la coerenza diventa tratto distintivo di un partito, allora diventa anche ragione per premiarlo alle urne. Ma se di tanto i cambi d’idea si fanno avanti, va bene lo stesso, anzi sono sinonimo di autocritica. In questo flusso di notizie così abbondante e veloce, si passa subito a quella successiva. E ogni cosa diventa perdonabile e dimenticabile. “Tanto sono tutti coerenti nell’essere incoerenti”.