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“Mi chiamo Stefano Nazzi”: le ragioni di un successo

16/01/2023

“Mi chiamo Stefano Nazzi”: le ragioni di un successo

“Mi chiamo Stefano Nazzi”: quattro parole ormai di dominio pubblico.

Stefano Nazzi è un giornalista de Il Post, e “ogni mese, il primo del mese”, pubblica una puntata del suo podcast, “Indagini”, ascoltabile gratuitamente sulle app.

Partito nello scorso aprile con Garlasco, finora ha trattato alcuni casi-chiave della cronaca italiana. Da Elisa Claps a Emanuela Orlandi, da Marco Vannini alle Bestie di Satana fino all’ultimo, Ferdinando Carretta.

Il successo che sta avendo questo prodotto editoriale è clamoroso. Ce ne sono tantissimi che sfruttano l’indubbio fascino del “crime”, tanto che per alcuni osservatori l’offerta supera la domanda. Eppure, nessuno riesce ad avere il successo di questo. Come mai?

Andando subito al sodo, possiamo dire che “Indagini” ha riscritto, se non rivoluzionato, le metodiche di produzione dei podcast. Lo ha fatto attraverso alcune caratteristiche vincenti. Innanzitutto, la cadenza. Le puntate, come detto, vengono pubblicate il primo di ogni mese. E a sera chiunque sia amante del genere lo ha già ascoltato. Per il successivo passeranno quattro settimane di attesa e curiosità. Per molti, quasi di ossessione. La conseguenza inevitabile è che ogni primo del mese si trasforma in un evento.

E qui riscontriamo una cesura netta, una rottura. Da un lato chi raccomanda la costanza nella pubblicazione per creare una community, dall’altro la scelta – controcorrente, appunto – di uscire una volta al mese per creare il cosiddetto effetto-hype.

Il logo di “Indagini”, il podcast de Il Post

In secondo luogo, entrando nello specifico, il linguaggio. Lo si coglie già dall’incipit, quel “mi chiamo Stefano Nazzi” che abbiamo richiamato in testa.

Il giornalista parla in maniera molto semplice, senza inabissarsi in cerca di teatralità o di ghirigori retorici inutili e controproducenti. Il racconto, diviso in due episodi per ciascuna puntata, si basa su una struttura narrativa non complessa. I termini tecnici vengono, sì, utilizzati, ma spiegati, così come vengono spiegate le diverse fasi di un processo o di un’indagine.

Ancora, l’utilizzo di audio da video già pubblicati (e sempre citati). Questo artificio avvicina l’ascoltatore alla storia e ai suoi protagonisti. Difatti, Nazzi è ben attento a non mescolare la parte emotiva con quella narrativa. É un dettaglio non da poco, perché consente all’utente anche di costruirsi un’idea propria di ciò che viene raccontato.

Insomma, in un’epoca in cui tutti vogliono guidare e quasi costringere tutti a pensarla in un certo modo, il modo di fare di Nazzi, così antidivo nel suo essere normale, segna quasi il momento della rivoluzione.


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