Comunicazione e politica: Di Maio e la spirale del silenzio
Comunicazione e politica, parte 2.
Come anticipato ieri, dopo Matteo Renzi è il turno oggi di Luigi Di Maio. Il capo del M5S si trova dal 5 settembre al Ministero degli Esteri con il governo Conte 2 (leggi qui perché è da preferire a “Conte bis”). Tra le polemiche.
“Non conosce l’inglese!”. “Non ha esperienza!”. Probabilmente sono vere entrambe le contestazioni che gli vengono mosse. E lo sa anche lui, visto che dalla nomina si è chiuso in un silenzio che rasenta il mutismo. Uscite, interviste, post: tutto centellinato.
L’abbiamo scritto ieri: al binomio comunicazione e politica va aggiunto un terzo elemento, quello del contesto temporale.
Se per Renzi il momento storico ha imposto di andare all’attacco (leggi qui come ha impostato la sua strategia), per Di Maio è vero l’opposto.
L’austera Farnesina non è la godereccia via Veneto. Nell’ovattato pianeta della diplomazia le parole vanno pesate con il bilancino, esaminate con attenzione estrema, e di passi falsi non ne sono consentiti. Dunque, prima di parlare, meglio essere certi al 105 per cento.
Prendiamo come riferimento la bacheca Twitter del capo pentastellato. Dal 5 settembre, giorno del suo insediamento, i post pubblicati sono soltanto 7. Di questi, quelli dedicati alla sua attività di ministro degli Esteri sono 5.
Ma tra la stretta di mano con Moavero nel giorno dell’insediamento e le immagini dell’Assemblea Generale Onu a New York di questi ultimi giorni, non c’è alcuna dichiarazione di tenore diplomatico o geopolitico.
Non diversa la situazione sul profilo Instagram, dove 9 post su 21 sono pubblicati da ministro degli Esteri. Ma tutti molto generici. Il resto da capo del M5S o da “italiano” (come l’immagine di esultanza per la Ferrari).
Addirittura, il video pubblicato nel primo pomeriggio di ieri da New York, a social (quasi) unificati, riguarda la calendarizzazione del voto alla Camera sul taglio dei parlamentari.
Nonostante un’agenda comunque fitta di impegni e incontri, è evidentissima l’adozione di una strategia super-prudente, quasi attendista, se si eccettua un’intervista del 9 settembre a La Stampa (qui).
Di Maio, insomma, sembra proprio essersi volutamente lanciato in una spirale del silenzio.
Soltanto su Facebook si può vedere qualche video in cui, da alcuni giorni a questa parte, il ministro parla in particolare di immigrazione, accordo di Malta e necessità di stabilizzazione della Libia.
Forse un primo assaggio di uscite pubbliche, dopo un periodo di tre settimane, come detto, di silenzio.
Nell’ambito della comunicazione, e spesso del rapporto tra comunicazione e politica, la teoria della spirale del silenzio è una tecnica utilizzata da chi percepisce come impopolari le proprie opinioni, e tende quindi a non enunciarle, riducendosi, appunto, al silenzio.
In questo modo, a dire di Elisabeth Noelle-Neumann, che elaborò questa teoria negli anni ’70, molti aspetti di una questione vengono trattati, mentre altri restano taciuti. Nel caso di Di Maio, però, è facile immaginare che non si tratti di popolarità delle opinioni, quanto piuttosto di mera conoscenza di circostanze che conducono alla formazione di un’opinione.
Finora, nel dibattito politico a prendere il suo posto è stato il presidente Conte, in una sorta di “interim in presenza”.