Tangentopoli, quando una parola segna un’epoca
“Tangentopoli” è una parola che segna un’epoca.
L’epoca più importante dell’era contemporanea della politica italiana. Un periodo di cui oggi si torna a parlare, con l’approssimarsi del ventennale della morte di Bettino Craxi.
D’altra parte, è la potenza della parola: legarsi indissolubilmente a un momento storico, segnandone le caratteristiche. E diventando immortale.
Nella fattispecie, “tangentopoli” è un termine omnicomprensivo.
Porta con sé tutto ciò che ha caratterizzato il biennio 1992-1993. Mazzette, partiti, pool, carcerazione preventiva, monetine al Raphael e chi più ne ha, più ne metta.
L’inventore del termine, il caporedattore di Repubblica Piero Colaprico, è stato geniale nella sua semplicità. Prendendo evidente spunto dalla waltdisneyana Paperopoli, ha semplicemente sostituito la prima parte della parola.
Avrebbe potuto optare per altre ipotesi – “mazzettopoli”, ad esempio -, ma la scelta è caduta su “tangentopoli”. Scelta felicissima. Quante prime pagine ricordate con questa parola in apertura? Quanti titoli al telegiornale, magari al neonato Tg5 di Mentana?
L’abilità di questo termine è sempre stata quella di racchiudere tanti rimandi. Uno di quei termini che solo chi è abituato a giocare con le parole è in grado di coniare.
Non a caso, sulla scia di “tangentopoli” sono poi nati i vari “affittopoli”, “rimborsopoli”, “parentopoli”. Colaprico, insomma, ha fatto scuola. Ha tracciato la via di quello che può sembrare un cliché linguistico – in realtà a volte rischia di diventarlo – ma che invece è un modo per sintetizzare e dare l’idea.
Certo, quel periodo è passato alla storia anche come “Mani pulite”, dal nome della prima inchiesta. Ma “tangentopoli” è quello che si è sedimentato maggiormente nell’immaginario collettivo.