Striscioni Vs social: se la politica diventa un’arena
Considerato l’incessante galoppare su quel cavallo favoloso che si chiama tecnologia, uno si aspetta di tutto. Ma non che la nuova frontiera della Comunicazione politica possano essere degli striscioni appesi alle finestre.
Tutto è partito da Brembate, paese del Bergamasco dove il ministro dell’Interno e segretario della Lega doveva tenere un comizio. Una squadra di Vigili del fuoco sale su un balcone e rimuove lo striscione con su scritto Non sei il benvenuto. Dopo Brembate, Catanzaro, Milano, Campobasso, Napoli, più altre città che ora onestamente non mi vengono alla memoria. Da una settimana a questa parte, dovunque si muova, ad accogliere Matteo Salvini un mare di lenzuoli sverniciati.
Insomma, quando pare che dobbiamo tutti essere ostaggio di questi famigerati social, ecco palesarsi il potere delle mode del momento. Spray, lenzuolo e creatività (quest’ultima un po’ meno: il messaggio è più o meno sempre uguale). La presa di posizione si ribella alla gabbia delle dirette Facebook, dove ascolti e non parli: in questo finale di campagna elettorale, a farla da padrona è la protesta da stadio, dove urli e non ascolti.
E non può che essere così: la politica è ormai un’arena, e il dibattito politico uno spettacolo dove più ci si fa male, meglio è. I giocatori giocano poco e entrano a gamba tesa, da dietro, a forbice. Chi assiste dagli spalti fa questo: partecipa, urla, tifa, va oltre il consentito e si becca i Daspo, scrive ed espone striscioni. Sui social o alle finestre.