Letta Vs Meloni, bandwagon e polarizzazione
Letta Vs Meloni è il punto verso cui sembrano andare questi primi giorni di campagna elettorale.
Di sicuro, è l’obiettivo dichiarato sia del segretario del Partito democratico che del presidente di Fratelli d’Italia.
“La disputa è chiara: bisogna scegliere, o noi o la Meloni“, ha affermato l’altroieri Letta. Prim’ancora, nel giorno in cui in Senato si consumava la caduta del governo Draghi, durante un comizio così parlava la Meloni: “Noi vogliamo battere il Pd di Enrico Letta”.
Cosa vuol dire, su quali basi poggia e quali cause e implicazioni comunicative può avere questo “dichiararsi guerra”?
Cerchiamo di esaminare la situazione. Naturalmente, entrambi si muovono e parlano a partire dai sondaggi, che indicano un testa a testa tra i due partiti.
Che sia un Letta Vs Meloni è chiaro anche dalle rilevazioni statistiche.
FdI sarebbe il primo partito ormai da mesi, con il Pd – in crescita anch’esso – a tallonare. Se Istituto Piepoli accredita i patrioti del 23% e i democratici del 22,5%, Swg dà addirittura 25% a 23,2%. Due partiti a un’incollatura, dunque. Ancora più interessante è il distacco: Lega, terzo partito, data al 14% da Piepoli e addirittura al 12,4% da Swg.
Si sta cioè creando il vuoto dietro FdI e Pd. Un elemento che porta i due leader a spingere sull’acceleratore del “me contro te”. L’uno ha individuato nell’altra l’avversario da sconfiggere, a riprova che non si tratta di una tecnica appannaggio esclusivo dei partiti cosiddetti populisti. Non è un caso che la Meloni parli del Pd come de “la sinistra”, termine con un significato preciso ma tanti significanti: progressismo, diritti civili, droghe leggere, immigrazione incontrollata eccetera. L’esatto opposto di conservatorismo, la categoria che da alcuni mesi utilizza per racchiudere i valori della “nuova destra”.
Naturalmente, da una parte e dall’altra tutto ciò conduce a una schematizzazione di tipo binario: o di qua o di là. “O noi o la Meloni”, appunto, per dirla con Letta. L’effetto polarizzante di questa comunicazione è partito da un po’, e andrà avanti ancora per un po’. Il perché è presto detto. Sia da un lato che dall’altro, questo Letta Vs Meloni ha prodotto e amplifica quell’effetto bandwagon che potrebbe fortificarli ancora di più.
Sfruttando la sfera psicologica, il bandwagon effect fa leva sulla tendenza ad adottare determinati comportamenti, credenze o idee perché diffuse nella maggioranza. Quello che pensa la maggior parte delle persone diventa quindi automaticamente vero, o comunque più credibile.
Si innesca così un circuito (se virtuoso o vizioso dipende dai punti di vista) che conferisce ai due partiti sempre maggiore forza sia nel rapporto con gli avversari che in quello con gli alleati. A meno che qualcuno dei competitor non cada su un tema e, di seguito, anche nei sondaggi.
LO SCHEMA BINARIO E L’EFFETTO BANDWAGON
A parlare per primo di schema binario in ambito politico è stato il sociologo neo-funzionalista Jeffrey Alexander. Siamo alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, e l’idea dello studioso statunitense è che lo schema cognitivo ruoti intorno alla capacità di costruire una narrazione politica basata sulla contrapposizione tra “noi” e “loro”. Tra giusto e ingiusto. Tra bene e male. Da quel momento, la comunicazione politica – che, come sappiamo, con la discesa in campo di Berlusconi comincia ad acquisire i canoni del marketing politico – si fonderà quasi totalmente su questo concetto, con pochissime deroghe (si pensi ad esempio ai governi di Monti e, soprattutto, di Draghi).
Conseguenza principale dell’affermazione dello schema binario è senz’altro, come scritto in questo articolo, la polarizzazione. Le tecniche di storytelling che originano dallo schema binario (cioè, come detto, tutte o quasi) hanno tutte la medesima meta. Dare in pasto all’opinione pubblica temi altamente divisivi, che, appunto, dividono a loro volta l’opinione pubblica stessa.
D’altra parte, come sostengono Hallin e Mancini¹, i Paesi a sistema pluralista polarizzato (come l’Italia), sono peculiarmente caratterizzati da una radicalità tipica, che si manifesta anche nell’ambito della comunicazione politica.
Tutto questo conduce a un secondo punto di approdo, cioè alla teoria del nemico, un altro fattore fondamentale nella narrazione politica. A parlarne tra i primi sono stati Umberto Eco, in una raccolta di saggi dal titolo “Costruire il nemico”², appunto, e Carl Schmitt, in molti dei suoi scritti. Distribuire ai propri seguaci elementi di disprezzo verso qualcuno o verso qualche fenomeno è una tecnica usata da tanti per (ri)costruire l’unità di un gruppo facendo leva sulla comune identità tra i componenti del gruppo stesso e sulle differenza con i gruppi esterni.
L’effetto bandwagon è, invece, un fenomeno cui possiamo trovarci di fronte soprattutto nel corso di campagne elettorali. Anche in questo caso, l’origine è americana. L’effetto carrozzone (traduzione letterale di “bandwagon”) afferisce alla sfera psicologica umana, e in un certo senso ne sfrutta le debolezze. L’uomo tende infatti ad adottare un determinato comportamento, atteggiamento o idea perché lo fanno tutti gli altri, o quantomeno la maggioranza. Crediamo che una cosa sia vera soltanto perché lo pensa la maggior parte delle persone.
Per questa ragione, scegliamo di saltare sul carro del vincitore, per non essere minoranza né sentirci perdenti. Va specificato che il termine è stato inventato da Dan Rice. Questi, in una campagna elettorale di metà Ottocento per le Presidenziali statunitensi, s’inventò un carro circense con musicisti al seguito (il bandwagon, appunto), che girava per le città urlando lo slogan “jump on the bandwagon”, “salta sul carrozzone”.
L’obiettivo, in buona sostanza, è quello di creare un effetto-traino, acchittandosi da vincitore per attirare il maggior numero di sostenitori. Per i quali, insomma, scegliere di appartenere alla massa diventa l’alternativa considerata più praticabile.
¹D.C. Hallin – P. Mancini, Modelli di giornalismo, Editori Laterza (2004)
²U. Eco, Costruire il nemico, La Nave di Teseo (2011)
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