Che ne sarà di Di Maio: parole d’ordine già sul tavolo
Che ne sarà di Di Maio, dopo le dimissioni di Draghi e la decisione di Mattarella di sciogliere le Camere?
La caduta dell’esecutivo di unità nazionale (leggi qui) ha (ri)delineato gli assetti a destra. Un po’ meno al centro e a sinistra, dove ancora non si sa bene chi sta con chi. L’ex steward dell’ex San Paolo si trova di fronte a un’estate dirimente per il proprio futuro.
Pochi giorni fa ho scritto (qui) del posizionamento dei partiti, di quanto questo sarebbe stato il leit motiv sia a governo in carica che a governo caduto. Il posizionamento di Di Maio, in questo senso, è uno dei risvolti più interessanti e che destano maggiore curiosità. Per capire se saprà far redimere Renzi e Calenda (da sempre durissimi con lui) e se con i suoi elettori riuscirà davvero a stare “Insieme per il futuro”.
Per sapere cosa pensa egli stesso di che ne sarà di Di Maio, partiamo dal punto stampa di stamane. In quella circostanza, il ministro degli Esteri ha già tracciato un paio di direttrici.
La prima: assolutamente no con il Movimento 5 Stelle. La seconda: l’agenda Draghi “non può e non deve tornare nell’ombra”.
Due messaggi chiarissimi con due o tre destinatari altrettanto chiari. Il Partito democratico, naturalmente, ma anche tutta quell’area di centro che ha votato la fiducia al governo o si è espressa in favore. Renzi, Calenda, Tabacci, Toti e, da oggi, anche Brunetta, la Gelmini e (pare) la Carfagna. Proprio oggi, Istituto Piepoli ha quotato questo Centro intorno al 15%, “se si accordano su una leadership e non litigano”.
Un centro tutto in via di composizione, ovviamente, e che dovrà (dovrebbe) affrontare grossissimi problemi di dialettica interna. Ma che punta a erodere consensi sia di qua che di là.
Soprattutto “di là”, per la verità, perché stamattina Di Maio ha citato Matteo Salvini come il corresponsabile della crisi (l’altro era Conte, ça va sans dire). Un modo per individuare il nemico (strategia delineata da Carl Schmitt e vecchia come la politica) ma anche per lanciare un amo ai cosiddetti “governisti” e governatoristi della Lega, che di rompere pare non volessero saperne.
“Salvini e Conte hanno colpito questa agenda riformatrice”: parole tutt’altro che casuali, ma ponderate e pesate. Chi affonda le riforme è un anti-riformatore, questo il messaggio.
Tuttavia, il titolare della Farnesina ha sganciato sul finale una bomba niente male. “Lo dico: non è un caso che il governo sia stato buttato giù da due forze politiche che strizzano l’occhio a Vladimir Putin”. Una frase fortissima, che però Enrico Letta ha raccolto a stretto giro di posta: “Con la destra al governo è a rischio il sostegno a Kiev”, ha dichiarato alla BBC.
Fino al 25 settembre, insomma, sarà un profluvio di ami lanciati e raccolti o ignorati. Di sicuro ci sarà da divertirsi. Poi vedremo che ne sarà di Di Maio.