Verba volant: i contratti in politica, a partire da Craxi
Verba volant, scripta manent: lo ha ripetuto anche Renzi, di ritorno dall’Arabia Saudita.
Dopo le consultazioni a Montecitorio con il presidente della Camera, l’ex capo del governo ha chiesto ai suoi ex alleati un accordo scritto.
Un patto che, nei suoi intenti, dovrebbe blindare l’azione di governo su alcuni punti. Poi, è chiaro che le interferenze esterne potrebbero ribaltare l’agenda delle priorità.
Ma quando, in politica, ha preso il via questa abitudine di firmare contratti scritti? La mente di ognuno torna a quelli tra Lega e M5S (2018) e tra Pd e M5S (2019)¹ oppure al super-mediatizzato “Contratto con gli Italiani” che Silvio Berlusconi firmò negli studi di Porta a Porta, nel 2001. In realtà, bisogna riavvolgere il nastro di oltre un paio di decenni.
Era il 1979, quando, in piena campagna elettorale, Bettino Craxi lancia la proposta. Voto in cambio di governabilità. Il suo obiettivo è quello di investire sul rafforzamento del potere di governo. L’Italia viene da una stagione, che ha preso il via nel secondo dopoguerra, in cui il sistema parlamentare e multipartitico ha bloccato sul nascere ogni tipo di tentativo di affermazione da parte di singoli leader.
Alla fine degli anni ’70, l’immagine del candidato comincia però ad assumere la sua importanza. Il segretario del Psi è il primo a mettere il proprio volto su un manifesto elettorale, accanto al simbolo di partito. Una rivoluzione che oggi pare un’ovvietà. A maggior ragione allora, quando i socialisti, divisi in molte correnti, vedevano il segretario come un primus inter pares.
In una tribuna politica, Craxi lancia la proposta del patto con gli italiani. Verba volant: si trattava di una garanzia sulla parola.
Dovranno trascorrere ben ventidue anni prima che Silvio Berlusconi apponga scenograficamente la propria firma sotto al “Contratto con gli Italiani”. Un documento che ricalca il suo linguaggio: chiaro, accessibile, immediato. Pochi punti, cinque, che egli si impegnava a onorare.
Inoltre, il contratto prevedeva che non si sarebbe ricandidato in caso di mancata realizzazione di almeno 4 punti. Naturalmente, si tratta di una tipologia diversa da quella messa in piedi – dopo settimane di trattative – per dare vita agli ultimi due governi Conte.
Oggi siamo di nuovo a quel punto. Matteo Renzi pretende un contratto scritto, e a questo strumento resta appesa la vita del nuovo esecutivo.
¹ Qui il link al saggio “Dal contratto di governo al governo da contratto. Analisi e argomenti politica e diritto”, di Angelo Lucarella.