Quarantena digitale, ma quant’è bello il contatto umano
Quarantena digitale, ma si può vivere “da remoto”?
Mai come in questo stiamo probabilmente sfruttando tutte le potenzialità della nuova comunicazione, lavorando da casa, in modalità “lavoro agile” e tutto quanto sia connesso ai nuovi strumenti di comunicazione.
Se da un lato possiamo dirci soddisfatti di un periodo di lavoro “disintossicante”, dall’altro possiamo dirci che grazie a esso ci sentiamo “completi”? Siti, chat, social, aggiornamenti continui. Abbiamo tutto sotto controllo. Fatta eccezione per amici e persone care. Extra-quarantena, insomma.
Certo, anche in questo caso possiamo sopperire con la tecnologia. La videochiamata ci viene in soccorso per la didattica, le conversazioni multiple e finanche per gli aperitivi on line. Ma è veramente la stessa cosa? A tutte queste domande, la risposta non può che essere “no”. Forse perché alla nostra condizione di esseri umani – e non di esseri digitali – si affianca il nostro essere italiani.
Che sia in un incontro di lavoro o conviviale, siamo abituati al contatto fisico, alla stretta di mano, alla pacca sulla spalla, agli abbracci. Ci ritroviamo invece obbligati a rispettare il limite dei sorrisi in una chiamata da Skype, da Hangouts o da Whatsapp.
Nei giorni scorsi, il fondatore di Facebook e proprietario proprio di Whatsapp, Mark Zuckerberg, ha dichiarato (primo collegamento in calce) che i server proprio dell’app di messaggistica istantanea sono a rischio fusione. Troppi i dati scambiati. Lavoro, certamente, ma anche e soprattutto voglia di tenere i contatti con amici e parenti.
Perché, come detto in apertura, questa quarantena digitale ci ha fatto capire una cosa tra le tante.
Da remoto si può anche lavorare, ma non si può immaginare una vita. E men che meno si può immaginare una comunicazione. A testimonianza, come scritto in passato, che la comunicazione si è attestata su un piano specifico, quello del “figitale” (copyright: Livio Gigliuto). E difficilmente si schioderà da lì.