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Kosovo-Serbia, media occidentali teneri con Belgrado?

31/05/2023

Kosovo-Serbia, media occidentali teneri con Belgrado?

Kosovo-Serbia, perché l’Occidente sembra cambiare strada?

di Hava Hajredini*

Conosciamo quanto sta avvenendo negli ultimi giorni al centro della Penisola Balcanica e in particolare a Zvecan, città kosovara a maggioranza serba.

A prescindere dai fatti e dall’analisi (in basso un mio commento), quello che è interessante registrare è la reazione dei media. Un cambio nel posizionamento su cui in tanti si stanno interrogando.

I media occidentali condannano da sempre, espressamente e senza esitazioni la violenza di cui i serbi sono accusati ai danni del popolo albanese. Sembra che la stessa nettezza di giudizio non sia invece riscontrabile nel commento alle vicende degli ultimi mesi.

Giudizi caratterizzati da inflessioni più diplomatiche. E, in generale, toni più cauti sulla situazione Kosovo-Serbia che in realtà è inandescente.

Il Corriere della Sera di oggi riporta in prima un articolo di spalla di Marco Imarisio in cui si dà voce ai serbi di Zvecana (città kosovara a maggioranza serba): “I serbi in piazza: il Kosovo è nostro”. Su tutti i portali, invece, trovano risalto le parole di ieri del tennista serbo Novak Djokovic: “Il Kosovo è il cuore della Serbia, il fulcro di molti eventi del nostro Stato. Non sono un politico, ma quel che sta accadendo fa male. Come figlio di un uomo nato in Kosovo mi sento ulteriormente responsabile di esprimere sostegno al nostro popolo e a tutta la Serbia”.

Soldati Kfor feriti a Zvecan

Purtroppo, quello che sta succedendo era ampiamente prevedibile sin dal novembre scorso. Da quando, cioè, i serbi si sono ritirati dalle istituzioni kosovare a causa della “disputa sulle targhe” (qui per approfondire). Inoltre, considerato l’avvicinarsi delle elezioni, il presidente serbo Vucic potrebbe aver deciso strategicamente di “ripescare” il tema. La questione fa molto presa in patria ed è molto sentita, al punto da unire tutti i serbi.

La disputa Kosovo-Serbia trova spazio anche sui media internazionali, a dimostrazione della grande eco dei fatti. The Guardian riporta come titolo le ultime dichiarazioni del presidente del Consiglio kosovaro Albin Kurti: “Kosovo: ‘folle fasciste’ guidate dalla Serbia provocano violenze, afferma il primo ministro del Paese”.

Il Financial Times dà voce all’ambasciatore USA a Pristina, Jeff Hovenier: “Gli Stati Uniti annulleranno le esercitazioni militari congiunte con il Kosovo e sospenderanno gli incontri diplomatici”, ha affermato prendendo una posizione netta.

Insomma, una situazione geopolitico-mediatica piuttosto intricata. Anche perché, proprio come si legge nel pezzo di Imarisio, a Zvecan (città kosovara a grande maggioranza serba) “sul viale che conduce in centro, quasi ogni villetta espone la bandiera serba e quella russa”. Perché è risaputo che nello scacchiere delle alleanze internazionali Belgrado è accanto a Mosca. Tanto che Il Foglio di oggi pubblica un pezzo di Adriano Sofri dal titolo “Pristina e la strategia della tensione russa fino al Mediterraneo”.

E allora perché stavolta i media occidentali paiono avere una posizione più conciliante con la Serbia? L’obiettivo è quello di non allontanarla dal resto d’Europa? Di non compromettere il percorso di avvicinamento politico-economico al Vecchio Continente?

Ma qual è il contesto di riferimento di questo periodo di tensione Kosovo-Serbia?

Il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza dalla Serbia nel 2008 e ad oggi ha compiuto passi significativi verso la costruzione di una democrazia basata su una Costituzione modellata secondo gli standard occidentali e nel rispetto delle minoranze e dei diritti umani.

Da venerdì 26 maggio la Serbia sta esercitando grande pressione attraverso manifestazioni contro l’inserimento dei sindaci di etnia albanese eletti nel voto locale del 23 aprile scorso. Ciò a seguito del boicottaggio delle elezioni da parte della popolazione di etnia serba. Boicottaggio espressamente richiesto dal presidente serbo Aleksander Vucic “Non si può più tollerare l’occupazione straniera”, le sue parole.

Le autorità kosovare hanno utilizzato lacrimogeni per disperdere la folla e sono state prontamente rimproverate dagli Stati Uniti e dagli alleati. L’uso della forza per insediare i sindaci albanesi nell’area con maggioranza serba secondo la comunità internazionale porterebbe al peggioramento delle relazioni con la Serbia e minerebbe i risultati sinora raggiunti.

Difatti lo stesso Vucic ha subito reagito ordinando all’esercito di avvicinarsi al confine, dichiarando il massimo livello di allerta.

Lunedi 29 maggio, più di 40 soldati KFOR, di cui 11 italiani, sono rimasti feriti negli scontri con i manifestanti. Sono stati aggrediti i giornalisti albanesi e internazionali e bruciate diverse macchine appartenenti alle troupe giornalistiche. Ieri la Nato ha annunciato la decisione di voler aumentare il numero di forze dispiegate in Kosovo, “per assicurare che la Kfor abbia le capacità necessarie per mantenere la sicurezza”.

Il nord del Kosovo, di popolazione prevalentemente di etnia serba, è sotto il “controllo del governo” di Pristina. Recenti processi stanno portando alla luce legami tra la politica e bande criminali particolarmente efferate, che lavorerebbero per il presidente, “sostenendone le manifestazioni e interrompendo quello degli oppositori” (qui).

La minoranza serba nel nord del Paese rimane in gran parte fedele al governo di Belgrado. Pertanto, la maggior parte continua a rivolgersi solo ed esclusivamente alle istituzioni serbe. La Serbia non riconosce l’indipendenza del Kosovo. Il ritiro dalle istituzioni kosovare a seguito della “disputa sulle targhe”, nel novembre del 2022, prova il fatto che tali autorità lavorano solo in una direzione e ne sono fortemente influenzati.

Una enorme bandiera della Serbia a Zvecan, città del Nord Kosovo a maggioranza serba

La violenza degli scontri dimostra, come ci insegna la storia dei Balcani, che il marchio di sciovinismo etnico e demagogia di Vucic fa eco a quella del suo alleato Putin. Nel 2017, l’allora vicesegretario degli USA per gli affari europei ed euroasiatici Hoyt Braian Yee, aveva inviato un messaggio chiarissimo alla Serbia: Belgrado doveva scegliere da che parte della storia stare. “Non ci si può sedere su due sedie contemporaneamente soprattutto se sono così distanti”, disse.

Oggi la Serbia guarda ancora in entrambe le direzioni e non ha condannato in alcun modo nemmeno l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Putin fa affidamento sugli amici nei Balcani per sostenere la sua guerra in Ucraina. Unita in un senso di vittimismo, la Russia ha un alleato fortissimo nell’estrema destra serba. 

La visone nostalgica di Vucic può oltretutto far traballare gli equilibri europei, costruendo uno Stato in cui la democrazia è fantoccia e, come detto, bande criminali fedeli alla Russia verrebbero utilizzate per diffondere la paura e il terrore. Tutto ciò pone Vucic in una posizione di enorme potere, e il legame serbo-russo appare più forte che mai. Allo stesso tempo, però, la Serbia sta sorprendentemente guadagnando consensi a Bruxelles.

Nel 1995, subito dopo il massacro di più di 8.000 musulmani bosniaci a Srebrenica, Vucic allora membro del partito di Seselj, dichiarò: “Se ci bombardi, se uccidi un serbo, uccideremo un centinaio di musulmani”. A tutt’oggi, il presidente non si è mai scusato per i crimini nei Balcani e nemmeno per la sua retorica. Oggi corteggia i leader europei e tiene aperta la porta alla Russia, sviluppa relazioni privilegiate con l’Ungheria e la Cina.

Eppure, a Bruxelles Vucic viene visto come il leader che può porre fine alla instabilità politica nei Balcani, attraverso il riconoscimento del Kosovo come stato indipendente.

Con più di 3 miliardi di euro di aiuti nel corso degli ultimi 15 anni, l’Unione europea è il principale donatore in Serbia, mentre per i prossimi anni sono già previsti 1,5 miliardi di euro nel quadro dei fondi di preadesione.

Se Vucic mettesse in conto la perdita del sostegno economico dell’occidente forse smetterebbe di sostenere la Russia, Orban e la Cina e di dare spalla alle bande e alle organizzazioni militari.

 

*Esperta in comunicazione

 

Kosovo-Serbia, why does the West seem to be changing course?

by Hava Hajredini*

We know what has been happening in the last few days in the center of the Balkan Peninsula and in particular in Zvecan, a Kosovo city with a Serb majority.

Apart from the facts and the analysis (below my comment), what is interesting to record is the reaction of the media. A change in positioning that many are wondering about.

The Western media have always condemned, expressly and without hesitation the violence with which the Serbs are accused against the Albanian people. It seems that the same clarity of judgment is not instead found in the commentary on the events of recent months.

Judgments characterized by more diplomatic inflections. And, in general, a more cautious tone on the Kosovo-Serbia situation which is escalating.

Today’s Corriere della Sera first reports an article by Marco Imarisio in which the Serbs of Zvecana (Kosovar city with a Serb majority) are given a voice : “The Serbs in the streets: Kosovo is ours” . On all portals, however, yesterday’s words of Serbian tennis player Novak Djokovic find prominence : “Kosovo is the heart of Serbia, the fulcrum of many events in our state. I’m not a politician, but what’s happening hurts. As the son of a man born in Kosovo I feel further responsibility to express support for our people and for all of Serbia” .

Wounded Kfor soldiers in Zvecan

Unfortunately what is happening was certainly expected since last November. That is, since when the Serbs withdrew from the Kosovar institutions due to the “licence plate dispute” (here to learn more). Furthermore, given the approaching elections, Serbian President Vucic may have strategically decided to “rescue” the issue. The question has a strong grip in the homeland and is deeply felt, to the point of uniting all Serbs.

The Kosovo-Serbia dispute also finds space in the international media , demonstrating the great echo of the facts. The Guardian reports the latest statements by Kosovar Prime Minister Albin Kurti as the title : “Kosovo: Kosovo: ‘fascist mobs’ guided by Serbia causing violence, says country’s PM”.

The Financial Times gives voice to the US ambassador in Pristina, Jeff Hovenier: “The United States will cancel the joint military exercises with Kosovo and will suspend diplomatic meetings”, he affirmed, taking a clear position.

In other words, a rather intricate geopolitical-media situation. Also because, just as we read in the piece by Imarisio, in Zvecan (a Kosovar city with a large Serb majority) “on the avenue that leads to the center, almost every villa displays the Serbian and Russian flags”. Because it is known that Belgrade is next to Moscow on the chessboard of international alliances. So much so that today’s Il Foglio publishes a piece by Adriano Sofri entitled “Pristina and the strategy of Russian tension up to the Mediterranean”.

So why does the Western media seem to have a more conciliatory position with Serbia this time around? Is the goal not to distance it from the rest of Europe? Not to compromise the political-economic approach to the Old Continent?

But what is the reference context of this period of Kosovo-Serbia tension?

Kosovo declared independence from Serbia in 2008 and to date has taken significant steps towards building a democracy based on a constitution modeled on Western standards and with respect for minorities and human rights.

Since Friday 26 May, Serbia has been exerting great pressure through demonstrations against the inclusion of mayors of Albanian ethnicity elected in the local vote of 23 April. This following the boycott of the elections by the ethnic Serb population. Boycott expressly requested by Serbian President Aleksander Vucic “We can no longer tolerate foreign occupation”, his words.

Kosovo authorities used tear gas to disperse the crowds and were promptly reprimanded by the United States and allies. According to the international community, the use of force to install Albanian mayors in the area with a

Serbian majority would lead to a worsening of relations with Serbia and undermine the results achieved so far.

In fact, Vucic himself immediately reacted by ordering the army to approach the border, declaring the highest level of alert.

On Monday 29 May, more than 40 KFOR soldiers, including 11 Italians, were injured in clashes with protesters. Albanian and international journalists were attacked and several cars belonging to the journalistic crews were burned. Yesterday NATO announced its decision to increase the number of forces deployed in Kosovo, “to ensure that KFOR has the necessary capabilities to maintain security”.

The north of Kosovo, with a predominantly ethnic Serb population, is under the “government control” of Pristina. Recent trials are bringing to light links between politics and particularly heinous criminal gangs, who allegedly work for the Serbian president, “supporting his demonstrations and interrupting that of his opponents” (here) .

The Serbian minority in the north of the country remains largely loyal to the Belgrade government. Therefore, most continue to turn exclusively to Serbian institutions. Serbia does not recognize the independence of Kosovo. The withdrawal from Kosovar institutions following the “plate dispute”, in November 2022, proves the fact that these authorities work only in one direction and are strongly influenced by it.

A huge flag of Serbia in Zvecan, a city in northern Kosovo with a Serb majority

The violence of the clashes demonstrates, as the history of the Balkans teaches us, that Vucic’s vision of ethnic chauvinism and demagoguery echoes that of his ally Putin. In 2017, then US Deputy Secretary for European and Eurasian Affairs Hoyt Braian Yee sent a very clear message to Serbia: Belgrade had to choose which side of history it was on. “You can’t sit on two chairs at the same time especially if they are so far apart,” he said.

Today, Serbia still looks both ways and has in no way condemned Russia’s invasion of Ukraine either. Putin relies on friends in the Balkans to support his war in Ukraine. United in a sense of victimhood, Russia has a very strong ally in the Serbian far right.

Moreover, Vucic’s nostalgic vision can shake the European balance, building a state in which democracy is a puppet and, as mentioned, criminal gangs loyal to Russia would be used to spread fear and terror. All this places Vucic in a position of enormous power, and the Serbian-Russian bond appears stronger than ever. At the same time, however, Serbia is surprisingly gaining support in Brussels.

 

*Communication Specialist


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