Caso Di Maio, pubblico e privato in politica
Delle ultime ore è il caso Di Maio, sollevato da Le Iene.
Si tratta dell’ultimo esempio, in ordine di tempo, di un episodio che coinvolge il privato di un uomo pubblico. Il “privato allargato”, potremmo dire, considerando che a essere chiamato in causa non è in prima persona il ministro e vicepresidente del Consiglio, ma suo padre e la sua impresa. Un po’ come avvenuto per Matteo Renzi e suo padre Tiziano, per intenderci.
Quello su media, visibilità e opinione pubblica (e relativi rapporti) è un intreccio, un triangolo sempre più sotto i riflettori, un tema sempre più approfondito e scandagliato. Specie nell’era moderna. Anche adesso, nel periodo storico contemporaneo, pare evidente un legame tra i tre elementi. La visibilità di Luigi Di Maio è ai massimi livelli: capo politico del partito più votato alle elezioni di marzo scorso, ministro del Lavoro e delle Attività Produttive, vicepresidente del Consiglio dei Ministri e tra i politici più attivi sui social media.
Ma la visibilità è una pericolosissima arma a doppio taglio. Ho avuto modo di approfondire la tematica nella redazione della mia tesi di Laurea Magistrale in Scienze Politiche, dal titolo “Pubblico e privato nella nuova politica mediale” (la disciplina era “Sistemi politici e tecniche di comunicazione” e il relatore il professor Paolo Mancini, tra i maggiori sociologi italiani): la più diretta conseguenza della visibilità è lo scandalo politico, che Thompson definisce come “l’esito di uno slittamento dei confini tra pubblico e privato”.
Per un uomo pubblico, la visibilità è tutto, è l’unico modo per acquisire popolarità tra la gente. Ma più essa aumenta, più aumentano le probabilità che qualcosa sfugga di mano, generando effetti difficilmente controllabili. Lo scandalo principale, come noto, è quello che ha visto protagonista Silvio Berlusconi. Un evento che ha addirittura portato, nel 2009, alla fine del suo matrimonio con Veronica Lario. In questo caso, la portata dello scandalo è data anche: a) come detto, dal ruolo (dai ruoli) istituzionale ricoperto da Di Maio; b) dal taglio “inchiestistico” che Le Iene danno ai loro servizi; c) dalle considerazioni non esattamente affettuose che il M5S ha recentemente espresso sulla categoria dei giornalisti e sulla volontà di tagliare i fondi all’editoria pubblica.
Tutte cose che, unite all’approssimarsi della tornata elettorale europea, mettono il M5S un po’ al centro del mirino. I media sanno di avere il potere di stabilire l’agenda setting, ovvero la gerarchia di preferenza delle questioni sociali nell’agenda del pubblico. Ciò è vero a maggior ragione in campagna elettorale. E la campagna elettorale è dietro l’angolo, se mai ne siamo usciti.
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