Giornalisti come politici: il sapore nobile della partigianeria
Giornalisti come politici, un fenomeno sempre più evidente.
Ieri sera mi sono fermato a vedere un quarto d’ora dell’ospitata di Giorgia Meloni da Corrado Formigli, a Piazzapulita. Più che un incontro tra un giornalista e un politico, sembrava uno scontro tra un politico e un politico.
Voglio essere chiaro: sono partito da Formigli per caso. Osservando, è stato lui ad avermi suscitato questo pensiero. Ma è chiaro che il pensiero stesso possa essere esteso a molti dei colleghi che presentano trasmissioni televisive, se non a tutti. Chi ci va come ospite, al contrario, è chiamato proprio per esprimere la propria opinione. Ma chi presenta?
Penso alla Gruber, a Fazio, alla Dandini, a Floris, alla Bignardi, a Santoro, a Bianchi/Zoro, a Del Debbio, a Porro, a Giordano. Tutti professionisti di livello, che personalmente mi restituiscono un’idea precisa. Quando cambio canale e li vedo, so già perfettamente quello che diranno e come interverranno. E non perché sia un genio, ma perché loro non si sono mai nascosti, non hanno mai fatto granché per apparire sopra le parti.
Ma è giusto che alla guida di trasmissioni anche molto seguite ci siano giornalisti come politici (o comunque di parte)?
Sappiamo bene che ormai da decenni, in Italia, la partigianeria è diventata una caratteristica molto diffusa tra i giornalisti. Anzi, per molti è un vero e proprio vanto. Si tratta di una delle caratteristiche dei Paesi a sistema pluralista-polarizzato. L’altra è l’editoria impura, che consente e anzi cerca giornalisti sfacciatamente di parte.
Ecco cosa scrivevo nel 2013 a proposito nel mio saggio “Parole e crisi politica. Dal politichese all’economichese. Come cambia il lessico politico al tempo della crisi” (in calce il collegamento).
“I media, prima televisione e giornali e poi anche quelli elettronici, seguono il dibattito politico partecipandovi attivamente e prendendo di volta in volta posizione sugli argomenti trattati.
In tal modo, nel tempo si è fortificato il già stretto rapporto tra essi e la politica e, anzi, l’impegno politico è andato via via assumendo un sapore nobile per i giornalisti. Analogamente, si è imposto uno stile giornalistico connotato da forti elementi di partigianeria.
«La radicalità ideologica tipica del pluralismo polarizzato ha minato la legittimità di tutti gli apparati della comunicazione di massa, in particolar modo della televisione pubblica»[1]“.
[1] D. C. Hallin- P. Mancini (2004), “Modelli di giornalismo”, Editori Laterza, p. 117.
- Vai qui per la scheda di “Parole e crisi politica”.
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