Il silenzio della comunicazione e la comunicazione del silenzio
Ci sono momenti in cui un silenzio sa comunicare. E a volte, molto più e molto meglio di tante parole, contribuisce alla formazione di un’opinione pubblica.
“Sono un appassionato di dati, e studiando quelli sulla mortalità infantile in Grecia, mi sono accorto che facendo tutti i calcoli, con la crisi i decessi di bambini fino ai 12 mesi di età sono aumentati di 700 unità rispetto a prima della crisi”.
Notizia tragica ma interessantissima. Dove la posso approfondire? Da nessuna parte. Perché chi l’ha data non l’ha mai pubblicata.
La storia ormai la conosciamo tutti, ma la riporto per completezza.
Il protagonista è Federico Fubini, vicedirettore del più importante quotidiano nostrano (leggasi: Corriere della Sera) e giornalista talmente quotato da far parte, con pochi esperti italiani, del “Gruppo di alto livello” – si chiama proprio così -, ovvero 39 personalità del settore che la Commissione europea ha messo insieme per la lotta, udite, udite, alle fake news (leggi in calce la notizia data da Ansa).
Bene, nel corso di un’intervista rilasciata a TV2000, Fubini ha confessato il suo peccato. Ha rinunciato a pubblicare una notizia per evitare che potesse avere conseguenze politiche. Come si faceva a scuola da bambini, ha giocato al gioco del silenzio
Risulta evidente l’oggettiva gravità del fatto scoperto dal giornalista, a cui vanno aggiunti ulteriori elementi, quali, dice lo stesso Fubini, “i bambini nati sottopeso” a fronte, aggiungo io, di un tasso di natalità verosimilmente in calo in quegli anni.
Ma perché tacere un fatto di una simile gravità? “Ho deciso di non scrivere, e nel libro lo racconto in dettaglio – spiega il vicedirettore del Corsera -, perché in Italia il dibattito è così avvelenato che gli antieuropeisti sono pronti a usare qualunque materiale come una clava non solo contro l’Europa, ma contro quello che l’Europa rappresenta: un principio di democrazia fondata sulle regole e sulle istituzioni. Se scrivo quello che ho scoperto vengo strumentalizzato dagli uni (dagli antieuropei) e ostracizzato dagli altri. La sostanza del problema si perde e io dovrei passare il tempo a difendermi dagli attacchi sui social network”.
La confessione, insomma. Farcita da una difesa strenua dell’austerità e dal timore della gogna. Il che ci pone un paio di considerazioni/quesiti, in termini di giornalismo, notizie, comunicazione, politica. Se per formare l’opinione pubblica (distorta) spesso si ricorre a notizie inventate – le bufale, per capirci -, come si potrebbe definire quella prassi che, per lo stesso scopo, evita di pubblicare notizie vere?
Ancora, tornando a quanto scritto in testa, non sempre si può concorrere alla formazione dell’opinione pubblica parlando, scrivendo e diffondendo notizie. A volte lo si può fare benissimo tacendole.
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