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Diritto di cronaca: i giornalisti tra atti, fatti e verità

17/01/2020

Diritto di cronaca: i giornalisti tra atti, fatti e verità

Diritto di cronaca o verità? Il dibattito sembra aperto.

A dargli ulteriore linfa, le parole di Fiorenza Sarzanini, giornalista di punta del Corriere della Sera che ha firmato numerosissime inchieste. L’ultima è quella dell’ormai celebre appartamento dell’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta.

La Sarzanini ha partecipato, nel ruolo di testimone della difesa (qui), a “La Storia a processo”, format teatrale di Elisa Greco.

La serata ha visto al centro l’Affaire Dreyfus e il ruolo che i media hanno giocato nella vicenda. Proprio dei media, quindi, il pubblico ha dovuto stabilire innocenza o colpevolezza.

Maggiore filtro e verifica delle notizie o, appunto, libertà e autonomia totale al diritto di cronaca?

Questione delicata, scivolosa e molto dibattuta.

I giornali devono saper tornare indietro e riconoscere che possono esserci stati errori giudiziari o addirittura delle macchinazioni o dei complotti”, afferma a Velocità Media la giornalista del CorSera.

Giusto, ma chi sfoglia i giornali? “Il lettore-cittadino ha l’obbligo, anzi l’onere – prosegue –, di tenere tutto questo in considerazione. Ma è chiaro ed evidente che colpa o merito è dei giornalisti, cioè di chi informa l’opinione pubblica”.

Che riguardino temi d’impatto o persone di una certa fama, molto spesso processi giudiziari diventano processi mediatici. Su questo la Sarzanini è netta: “Quasi tutti i processi di questo calibro sono soprattutto mediatici, ed è questo che deve portarci alla cautela.

Prendiamo il caso Tortora. Il conduttore viene arrestato: si può pensare che ci possa essere qualche giornale che possa non dare la notizia? È impossibile. Ma è altrettanto chiaro che compito dei giornalisti è scavare nelle accuse per capire se siano vere o false”.

Non fa una piega. Ma c’è un segreto per capire come ci si muove sul crinale tra etica giornalistica e ricerca della verità? “Il confine è evidentemente questo, cioè quello tra atto giudiziario, realtà processuale e realtà.

Il giornalista ha l’obbligo di muoversi su questo limite, sapendo che molto spesso la verità processuale non coincide con la verità. Ma ciò non vuol dire che poi i giornali non debbano raccontare la verità processuale”.

Fiorenza Sarzanini (a destra) con Elisa Greco sul palco del Teatro Eliseo di Roma, prima dello spettacolo de “La Storia a processo” dedicato all’Affaire Dreyfus (fonte: Agrphoto)

Un esempio concreto? “Porto sempre quello di Rignano Flaminio. Persone arrestate per reati gravissimi contro bambini. I giornali dovevano capire se quelle accuse fossero vere.

Grazie anche alla campagna di stampa portata avanti dai maggiori quotidiani, le maestre poi sono state assolte. In quel caso, i giornali hanno mosso l’opinione pubblica. Ma non sempre è così perché non sempre tutto è accessibile”.

E oggi, nell’era del digitale e della visibilità a ogni costo? Cosa cambia nel lavoro del giornalista?

“Oggi siamo più fortunati, perché l’era digitale e l’utilizzo dei social ti consentono di avere più attenzione. Nello stesso tempo, però, è vero anche l’opposto, perché l’attenzione può diventare un massacro, ti fa scivolare con più facilità.

Senza contare l’elemento-enfasi, e qui possiamo tornare al caso Tortora. Hai così tanto rimbalzo nella pubblicazione di una notizia, che smentirla diventa poi più difficile.

Pensiamo ai social – chiude la Sarzanini –: ci sono i giorni in cui si gioca al massacro di una persona. Riabilitarla poi è complicatissimo“. 


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