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Tennis e politica, quelle inconfessabili similitudini

15/04/2022

Tennis e politica, quelle inconfessabili similitudini

di Francesco Napolitano

“Se conosci le tue capacità e quelle del nemico non dovrai temere l’esito di cento battaglie; se conosci te stesso, ma non il tuo avversario, per ogni vittoria subirai una sconfitta, ma se non conosci né la tua forza né quella del rivale, perderai in ogni battaglia”.

Lo stimolo ad una conoscenza profonda di sé e del “nemico” e la lungimiranza con cui predisporre una strategia in base agli spazi e ai tempi della contesa costituiscono preziosi grimaldelli motivazionali, con cui l’epilogo de “L’arte della guerra” di Sun Tzu potrebbe caricare il tennista e il politico, accomunati nei loro agoni di riferimento da una serie di aspetti che cercheremo di evidenziare.

Se il tennis è strategia, sport mentale da pensatori caratterizzato da un dispendio psicologico notevole, anche la politica è una continua partita a scacchi nel decidere come posizionare o muovere la propria pedina.

In un perenne match senza esclusione di colpi i politici ed i tennisti si destreggiano alle prese con insidie e pericoli simili, arrovellandosi su quale sia la risposta più immediata nella ricezione di una battuta politico-tennistica. (politennistica?)

Entrambi devono capire quando è il momento giusto per cogliere di sorpresa l’avversario, carpendo i suoi punti deboli, attraverso l’indizione di una mozione di sfiducia o con l’effettuazione di un passante e per trovare l’attimo propizio per irritarlo, segnalando un intervento fuori tempo massimo a Montecitorio o chiamando l’intervento dell’occhio di falco.

Entrambi sono chiamati ad adattare il “proprio gioco”: l’uno alle variegate superfici pubblico/istituzionali che vanno dai luoghi sacri della politica alle sedi di eventi mondani, l’altro alle diverse superfici di gioco in terra o in erba, facendo attenzione a ribattere ai colpi bassi degli avversari e tenendo conto che una partita può imprevedibilmente cambiare in un istante.

Sia i politici che i tennisti affrontano uno sport di combattimento a distanza, privo di scontro fisico, caratterizzato per dirla con la tennista a stelle e strisce Billie Jean King da un’azione violenta che si svolge in un clima di totale tranquillità fra cerimoniali di cortesia.

Se l’arte del palleggio tennistico, da scambio di cortesia nel riscaldamento, diviene tensione di soprassalto dello spirito e desiderio di prevalenza per mezzo di smash senza scampo, anche il dibattito politico è uno sport violento, in cui l’arte del colloquio si trasforma in controversia, in pretesa di aver ragione, ove i fendenti sono costituiti dai dritti e dai rovesci della retorica.

Nella politica come nel tennis è necessario comprendere quando compiere la scelta giusta. Davanti allo scoppio di una crisi politica è più conveniente serbare un silenzio di facciata o avventurarsi in smentite, repliche o comunicati stampa in politichese?

Matteo Renzi in una partita di tennis

Nel decidere come colpire la palla è più conveniente smorzarla o colpirla forte? È più utile piazzare una palla corta sotto rete o giocare di fondocampo?

Come un buon tennista sa sempre dove piazzare la palla, sa come dirigerla e telecomandarla, così un buon leader è in grado di dirigere la politica generale e di mantenere l’unità di indirizzo politico, nel dominio del pallino del gioco.

Secondo Agassi, il tennis è una questione di gradi di aggressività, in quanto devi essere abbastanza aggressivo da controllare un punto, ma non così aggressivo da sacrificare il controllo e correre inutili rischi.

A nostro parere tutto ciò è valido anche per la politica, chiamata a far attenzione ai tempi di gioco, proprio come nel tennis.

Nel nostro parallelismo immaginifico tennis-politica, riteniamo infatti che arrivare in anticipo sulla palla, evitando che un recupero affannoso non rovini inutilmente a rete, equivale a comprendere in anticipo quali sono le dinamiche e gli equilibri del futuro prossimo della politica nella sua composizione partitica e nelle sue evoluzioni ideologiche.

Avvalersi di un break nel tennis per ritemprare le membra, equivale ad usufruire delle sospensioni dei lavori parlamentari per rinfrescare le idee sul venturo agire politico.

Essere in vantaggio a fine game equivale ad essere in testa negli exit poll elettorali.

Tuttavia, al netto delle analogie, se per Artur Ashe la vita è come una partita a tennis in quanto non si può vincere senza servire, pensiamo invece che in politica il troppo servire possa condurre ad erronei doppi falli.

Inoltre, mentre la politica con un inno al “volemose bene” alle volte impone lo stare in coalizione, gli apparentamenti e le fusioni, le alleanze e le ammucchiate, il tennis è uno sport crudelmente solitario. Sul rettangolo di gioco sei maledettamente solo, non puoi chiedere aiuto a nessuno e non puoi rifugiarti in nessuna panchina.

Sei posto nudo davanti a tuoi limiti e sei chiamato a trascenderli per evolverti. Non puoi eluderli col classico elusivo approccio “politichese”.

Al di là di questo tour di accostamenti fra tennis e politica, ipotizziamo che oltre a calpestare i tappeti rossi degli eventi pubblico-istituzionali, i politici possano essere chiamati a calcare anche la tennistica terra rossa.

Ex numeri 1 ATP quali Marat Safin e Ilie Nastase, impegnati in politica in quanto divenuti rispettivamente parlamentare russo nella Duma e senatore del Parlamento rumeno, affrontano immaginariamente in un doppio all’ultimo respiro Rafa Nadal e Novak Djokovic, sincronizzati in una strategia comune per la quale è meglio che uno sportivo non parli di politica, essendo preferibile aiutare il proprio Paese in altri modi.

Allargando questa singola contesa all’interno di una competizione più grande, a cui sono ufficialmente invitati a partecipare alcuni dei politici più celebri, che tipo di tennisti sarebbero i nostri leader politici? Sarebbero giocatori d’attacco o di tenuta e difesa? Sarebbero prudenti o creativi? Conservatori o progressisti?

Nole Djokovic e Rafa Nadal

Paragoniamo lo stile comunicativo e l’agire politico dei colletti bianchi e il modo di giocare dei tennisti più in voga.

Similmente a Barazzutti, “pallettaro” per eccellenza, Andreotti rimane sempre lì sul pezzo remando e aspettando il momento ideale per strappare il punto decisivo. Il colpo di genio che chiude game, set, match è rappresentato da celebri giocate quali “Il potere logora chi non ce l’ha” o “Sono consapevole dei miei limiti, ma sono anche sicuro di non essere circondato da giganti”.

Salvini e Renzi classici giocatori d’attacco alla Pete Sampras e alla Boris Becker votati al serve and volley, si avventurano nella volèe o nella conclusione al volo per chiudere subito il punto, rischiando però per la troppa foga di sbagliare clamorosamente appoggio sottorete o di essere sorpresi in contropiede dai pallonetti degli avversari.

Giocatore spregiudicato è anche Massimo d’Alema, il quale similmente al greco Tsitsipas, cerca di spiazzare l’avversario usando gli angoli per buttarlo fuori dal campo con colpi rischiosi che talvolta rischiano di terminare nel corridoio. Definire Brunetta “energumeno tascabile” o affermare che “è impensabile che il dottor Berlusconi entri in politica…deve occuparsi dei suoi debiti” sono esempi dei suoi colpi ad effetto.

Proprio Silvio Berlusconi, col tipico piglio carismatico di chi è abituato a imporre il proprio gioco su ogni superficie, è un rinomato provocatore dell’avversario ed un abile catalizzatore del supporto delle tribune grazie alle sue doti innate di imitatore e barzellettiere, possedute anche da Novak Djokovic attuale numero 1 ATP.

Il carisma e la tenace carica agonistica appartengono anche a Beppe Grillo, cantore dell’“uno Slam vale uno”. Caratterizzato dalla folta chioma riccia e dalle continue liti con gli arbitri, Beppe Grillo sembra avvicinarsi alle 3 sfumature di umore di McEnroe, l’arrabbiato, il più arrabbiato, l’arrabbiatissimo, rissoso irlandese che lontano da ogni forma di aplomb e pax istituzionale ha affermato che “nel tennis chiedere scusa dovrebbe essere considerato contro il regolamento”.

But Don’t lock back in anger! Il tennis è fatto soprattutto di calma e pacatezza. Non a caso “la classe non è acqua” è il motto che contraddistingue due fuoriclasse quali Roger Federer e Mario Draghi. L’accuratezza tecnica e la classe dei gesti del primo vanno di pari passo con la comunicazione elegante, autorevole ed efficace del secondo, abituato con serenità a “comunicare ciò che viene realizzato e ciò che si intende realizzare”, fedele ad una comunicazione “pragmatica ed essenziale”, per dirla con Francesco Giorgino.

Giunti al tie-break osiamo proporre lo slogan “la politica riparta dal tennis”, sport che richiede skills fondamentali anche per la politica: controllo di sé, coordinazione e prontezza, resistenza ed un mix fra prudenza e abbandono.

Grinta e granitica volontà, visione centrale e visione periferica, capacità di lettura degli uomini e delle situazioni, sono qualità che auspichiamo che i nostri politici possano prendere in prestito dal tennis, in uno spirito di gioco costruttivo che porti ad accettare le sconfitte e a fuggire la ricerca di alibi e polemiche.


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