“Calcio e geopolitica”, il nuovo strumento di potenza degli Stati
di Francesco Napolitano
Non azzardiamo se paragoniamo i vari itinerari compiuti lungo le principali tappe strategiche euroasiatiche dai gasdotti, citati da Alessio Postiglione, Narcís Pallarès-Domènech e Valerio Mancini in “Calcio e Geopolitica” (in uscita il prossimo 13 maggio per Edizioni MondoNuovo, pp. 200, 16 Euro: qui), con i sentieri che, grazie agli approfondimenti e agli scoop degli autori, ci conducono alla conoscenza del calcio.
Calcio non solo relazionato alla politica, ma veicolo di interscambio con le sfere della geografia, della storia, della finanza, del diritto internazionale, della filosofia, della sociologia…del mito.
Se dovessimo trovare una mancanza, insomma, potremmo rinvenirla nell’assenza di un’analisi calcistica sul cibo.
Scherzi a parte, il libro di Postiglione, Pallarès-Domenech e Mancini è un manuale di conoscenza delle discipline citate, che nel continuo rimando a date, citazioni, riferimenti e nell’incedere vorticoso di aneddoti storici, spesso semisconosciuti, forniscono al calcio una dimensione di universalità.
Il costante ricorso all’etimologia e il lavoro di scavo sulle parole ci permettono inoltre di giungere alla nascita di un fenomeno, al perché di un modo di agire o di pensare, all’origine di una tradizione, fornendo in un’ottica di insieme la spiegazione di un evento ricongiunto in tutti i suoi punti, considerato che l’uomo deve il suo presente al suo passato e di rimando il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente.
Così, l’assegnazione di un Mondiale viene spiegata alla luce dell’intenzione di uno Stato di ricercare la propria legittimazione territoriale agli occhi del mondo attraverso il calcio, concepito appunto come strumento di politica interna o di geopolitica.
La politica, come scrive Postiglione, esperto di comunicazione politica, già portavoce e spin doctor istituzionale e in diverse campagne elettorali di successo, usa e concepisce il calcio quale strumento di potenza, come mezzo di propaganda, come strategia di nazionalizzazione delle masse, attraverso rituali e cerimoniali che richiamano eroi e gesta epiche.
Il mondo del pallone viene accostato alle liturgie della religione, attraverso la beatificazione dei suoi leader laici, percepiti come divinità e salvatori (ogni riferimento a Mano de Dios e Diego Armando Maradona NON è puramente casuale) e alle dinamiche militari, attraverso l’uso di termini quali difesa, attacco, cannonata e avversario, che rappresentano la pantomima della guerra.
Calcio, rito collettivo dal sapore comunitario, oggi diventato prodotto di intrattenimento per un consumatore sempre più ammaliato dalle luci dello spettacolo e sedotto dai vari Patron pronti a scendere in campo promettendo vittorie roboanti e “bel giuoco”. Per questo la lettura è vivamente sconsigliata ai milanisti deboli di cuore e memori dei trionfi berlusconiani accennati nel libro.
Calcio che costituisce lo specchio delle fratture sociali che scompaginano la società.
Quanti dei lettori saranno certi di tifare per la squadra “giusta”, per la squadra per la quale hanno gioito e pianto sin da bambini, alla luce delle scottanti rivelazioni sul perché di un colore e di un nome, sull’origine operaia piuttosto che nobiliare del proprio club, sulle tendenze destrorse piuttosto che sinistrorse?
Similmente ad un agente dell’intelligence, Postiglione delinea le strategie delle maggiori potenze mondiali quali Cina, Usa, Russia, Paesi del Golfo, che inserendosi nel calcio attraverso investimenti, grandi opere, piani “ultraquinquennali” cercano di proiettare la propria potenza nel mondo e di conseguire importanti obiettivi economici, anche a scapito delle minoranze.
“Calcio e geopolitica”, che accosta le fasi economiche del calcio alle tre fasi della rivoluzione industriale, è un’analisi di dati, percentuali, statistiche e tabelle, uno studio su costi ed entrate, sui fattori economici e sui bilanci che sempre più condizionano un pallone inseguito da diritti tv, brand, sponsorizzazioni e abbonamenti.
Gioca un ruolo fondamentale in tutto ciò la Fifa, descritta come Banca Mondiale o Fondo Monetario Internazionale capace di orientare gli investimenti e favorire lo sviluppo calcistico e di riflesso lo sviluppo economico di un Paese.
Fifa interpretata come “Nazioni Unite del Calcio” pronta ad accogliere le istanze di tutti quei territori non statuali e di quelli privi di autogoverno, degli Stati Indipendenti non riconosciuti, che utilizzano il calcio per rivendicare la loro esistenza.
Lo storytelling economico e sociale sui Paesi Sudamericani, compiuto da Postiglione, ci porta a considerare che il Mondiale del 1986 vinto dall’Argentina costituisce una rivalsa storica per la guerra delle Isole Falkands, e che la sconfitta drammatica per 7-1 del “Mineierazo” attesta la supremazia non solo calcistica ma forse anche politica della Germania ai danni del Brasile.
Sudamerica continente vasto e sconfinato, dove i binari reali e del progresso portano per ogni stazione costruita un nuovo campo di gioco ed un nuovo team di football, gli stessi binari la cui costruzione è a tratti interrotta dalle azioni di guerriglieri armati e di narcotrafficanti che reinvestono i grandi profitti nel calcio, arrivando persino ad uccidere un calciatore inconsapevole guastatore di scommesse e combine.
CALCIO E GEOPOLITICA è tutto questo: sentimento e analisi pragmatica.